Uno studio ha messo a confronto due famose diete americane e quella “mediterranea”, che sembrano in grado di ridurre il rischio di sviluppare l'Alzheimer: ecco i risultati
Un confronto molto approfondito
Per valutare l’aderenza a questi modelli è stato utilizzato un punteggio calcolato in base alla frequenza di consumo nell'alimentazione quotidiana di alcuni alimenti specifici. Per i primi due schemi alimentari (dieta mediterranea e dieta “DASH”), gli indicatori erano rappresentati in particolare dall'assunzione di alimenti vegetali e da un limitato consumo di quelli di origine animale, con qualche specificità, come l’utilizzo di olio d’oliva per il modello di dieta mediterranea o il consumo di latticini magri per il regime “Dash”. Per la “Mind”, contribuivano al punteggio in parte componenti in comune con gli altri modelli e in parte elementi specifici rappresentati da cibi ritenuti “neuro protettivi”: mirtilli e verdure a foglia verde.
Risultati molto incoraggianti
Dopo aver seguito i partecipanti per cinque anni, i ricercatori hanno visto che tutte le tre diete riducevano il rischio di sviluppare Alzheimer: con la dieta Dash del 30%, con quella mediterranea del 54% e del 53% con la Mind, che però, rispetto alle prime due presentava un altro vantaggio: anche quando non veniva seguita in modo “perfetto” riduceva comunque il rischio di sviluppare l' Alzheimer comunque. Come commenta Rosanna Squitti, ricercatrice della Fondazione Fate bene fratelli, di Roma i risultati della dieta Mind sono molto importanti: ad oggi le persone che soffrono di demenza e l’Alzheimer sono quasi 47 milioni.
È importante precisare che studi come questi possono sicuramente dare degli importanti suggerimenti sul fatto che un regime sia indicativamente protettivo o meno verso una specifica malattia, ma per avere dei dati ancora più affidabili è necessario fare uno studio di tipo prospettico: ovvero, è necessario selezionare un gruppo di soggetti da sottoporre ad un determinato regime alimentare confrontandolo con un altro gruppo che invece non segue le indicazioni alimentari. Negli anni poi si faranno, ad intervalli regolari, delle rilevazioni per valutare lo stato di salute complessivo e per verificare anche la “durata” dell'azione protettiva dell'alimentazione sullo sviluppo di una malattia degenerativa.
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